domenica 21 settembre 2014

Uccidere animali

Ultimamente c'è una quesitone che mi sta facendo riflettere sempre più spesso, una questione che vede un sacco di gente prendere posizioni che a mio modo di vedere sono molto vicine all'ideologia politica o religiosa. La questione è se sia giusto o meno allevare&uccidere un animale o cacciarlo per mangiarselo. Espongo allora la mia opinione (in maniera giocoforza incompleta) perché voglio capire cosa penso in maniera più profonda e voglio capire fino a che punto è profonda la riflessione degli altri.

Semplicisticamente considero la vita e la morte come due fasi che nel mondo naturale fanno parte dello stesso processo. Di per sè la vita è la fase attiva (l'essere vivente agisce sulla realtà) mentre nella morte ci troviamo in fase passiva.

La vita però, per essere tale deve promuovere se stessa con la spinta alla sopravvivenza e quindi la riproduzione.

Allora perché la morte ha un connotato così negativo? Personalmente ritengo che questo fattore sia un'elaborazione dell'istinto di sopravvivenza. E l'elaborazione consiste nel rapporto tra la proiezione in avanti dell’aspettativa di vita e delle proprie ambizioni con le reali probabilità di sopravvivere. Se il rapporto è ipoteticamente uguale a 1 allora siamo tranquilli, possiamo sfruttare il tempo che crediamo di avere. Se il rapporto è > 1 siamo euforici perché ci si prospetta una vita più lunga di quello che ci aspettiamo (ma dipende dal punto di vista). Ma se il rapporto è < 1 allora proviamo sofferenza perché sappiamo che non avremo abbastanza tempo per fare tutto quello che vorremmo.

Ciò che ci spaventa è la consapevolezza di questo confronto e ciò fa della condanna a morte di un uomo una delle peggiori azioni che si possano commettere. 

Ma tutto questo presuppone la capacità di proiettare la vita in avanti e immaginarsi morti.

Ma ciò vale per gli animali?

Ci sono due cose importantissime che dobbiamo chiederci per rispondere a questa domanda:

- che genere di sensazioni sono in grado di percepire gli animali? E quali animali?

- Gli animali (e se si quali?) sono in grado di avere coscienza della propria vita ? riescono a proiettare nel futuro la prospettiva di vita? Concepiscono la morte come evento che termina la vita?

Ora occorre definire i termini delle domande: cosa intendiamo per sensazioni?

Definisco arbitrariamente sensazioni quelle percezioni come paura, rabbia, affetto, gioia, noia, gelosia, eccitazione, esaltazione. Tali sensazioni richiedono un cervello mediamente sviluppato e molti mammiferi e uccelli possiedono tutte o parte di tali sensazioni che sono funzionali alla sopravvivenza.

Definisco autocoscienza della vita in maniera diversa da coscienza e autocoscienza: la coscienza la definisco come capacità di percepire il mondo come "altro" da sé, ma senza percepire coscientemente il "sé".-l'auto coscienza la definisco come capacità di definire se stesso come individuo "da fuori". -la coscienza di vita la definisco come capacità di definire la vita dalla non-vita (ma non la morte). -L'autocoscienza della vita la definisco come capacità di definire la propria vita in corso e l'eventualità del proprio stato di non-vita ovvero la morte

Le prime tre definizioni sono attribuibili a processi che avvengono nella neocorteccia ma non solo. Per comodità prenderò come riferimento una delle più recenti sintesi moderne di neurobiologia: la "Cambridge Declaration on Consciousness" (2012) che in sintesi dichiara che molti animali non umani compresi alcuni uccelli e molluschi (polpi ad esempio) possiedono il substrato anatomico, chimico e fisiologico per permettere l'esistenza delle suddette.

Ma la terza definizione, la più importante, non è mai stata dimostrata, a quanto ne so, e le osservazioni che si possono fare mi portano a pensare che solo l'uomo possegga questa capacità. E la possiede perché la propria intelligenza gli ha permesso di costruirsi un ambiente meno ostile in cui vivere di quanto lo sia la natura dove l'aspettativa di vita è sempre incerta. Un animale (specialmente una preda) che possedesse tale capacita di proiezione impazzirebbe all'idea di vivere in un ambiente in cui dietro ogni albero si può nascondere la propria morte. Inoltre un'altra osservazione che mi induce a pensare all'incapacità dell'animale di percepire l'autocoscienza di vita è l'assenza di suicidio "ritualizzato" nel mondo animale. Ci sono eventi di suicidio tra animali ma sono sempre riconducibili o a errori, o a eventi di depressione che portano a inedia, contingenze riproduttive (salmoni) o a stati comunque alterati. Manca il suicidio rituale, quello in cui l'essere vivente, per motivi non prettamente biologici, ricerca con metodo freddo e pienamente cosciente una maniera per terminare la propria vita (un esempio molto semplice è il seppuku giapponese).

Che cosa comportano questi fatti?

per quanto mi riguarda questo comporta una conseguenza importante: in un’ottica morale umana di cui siamo inevitabilmente produttori l'animale predilige la qualità della vita alla sua durata, poiché la coscienza di quest’ultima gli è preclusa. Dobbiamo considerare che per l'uomo vige la stessa regola a patto che si sia compiuto "il proprio destino" ovvero che si senta di aver vissuto una vita piena. Questo spiega la calma con cui molte persone affrontano la morte. Ma l'animale non sembra, ad ora, possedere tale necessità, se non quella biologica della riproduzione (ma in maniera istintiva e non cosciente.)

Per l'animale quindi il problema non si porrebbe. Per lui la spinta è quella di sopravvivere alla contingenza, cercare uno stato di benessere fisico ed emotivo (più o meno complesso a seconda della specie)  e riprodursi. 


Affermare che la durata della vita non ha importanza per l'animale che implicitamente possiede l'istinto di sopravvivenza può sembrare una contraddizione logica, ma la prima è qualcosa che viene percepita coscientemente, il secondo è inconscio. Noi possiamo sperimentare questa dicotomia quando percepiamo un pericolo e ci muoviamo in maniera istintiva per sfuggirgli (scappare, lottare, urlare etc..) mentre per promuovere la durata della vita facciamo progetti a lungo termine, andiamo dal medico, mangiamo sano (LOL), etc.. cosa che l'animale non fa.

In quest’ottica quindi, per quanto mi riguarda riveste molta più importanza la qualità del trattamento che l'animale subisce in un processo di allevamento (compresa la tecnica di uccisione), piuttosto che il fatto stesso che l'animale venga ucciso. 



Ella ha compiuto il suo destino

Quindi mangiare un animale che abbia vissuto una vita (non importa la sua lunghezza) serena per quanto mi riguarda non comporta un’azione ingiusta. 

Per questa ragione, ritengo personalmente che la scelta e la propaganda vegetariana o vegana perda senso, a meno che non sia dettata da una personale opinione puramente etica o gastronomica alla quale però non può seguire appunto una propaganda, poiché soggettiva. Perde senso perché si trasforma in una non-scelta per la quale invece di incentivare le buone pratiche di allevamento ci si elimina dalla statistica premiando di fatto gli allevatori meno virtuosi che possono contare su una maggioranza umana intellettualmente pigra o con un portafogli piccolo.

Rimane ferma d'altra parte la necessità di limitare l'uso di carne per motivi di salute e sostenibilità. Ma penso che l'arma da usare non possa essere quella della colpevolizzazione, ma piuttosto nell'incoraggiare le scelte migliori evidenziando i vantaggi che queste offrono. L'uomo non si muove mai per senso di colpa, si muove sempre per opportunità.

d'altra parte per naturale sensibilità umana ritengo che l'uccisione dell'animale sia un evento da limitare a casi di alimentazione o miglioramento della vita umana e animale (ricerca scientifica, abbattimenti selettivi..), fin tanto che non saranno trovate metodologie perfettamente sostituibili.

Miskatonic Alumn


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