Ultimamente
c'è una quesitone che mi sta facendo riflettere sempre più spesso, una
questione che vede un sacco di gente prendere posizioni che a mio modo di
vedere sono molto vicine all'ideologia politica o religiosa. La questione è se
sia giusto o meno allevare&uccidere un animale o cacciarlo per mangiarselo.
Espongo allora la mia opinione (in maniera giocoforza incompleta) perché voglio
capire cosa penso in maniera più profonda e voglio capire fino a che punto è
profonda la riflessione degli altri.
Semplicisticamente
considero la vita e la morte come due fasi che nel mondo naturale fanno parte
dello stesso processo. Di per sè la vita è la fase attiva (l'essere vivente
agisce sulla realtà) mentre nella morte ci troviamo in fase passiva.
La
vita però, per essere tale deve promuovere se stessa con la spinta alla
sopravvivenza e quindi la riproduzione.
Allora
perché la morte ha un connotato così negativo? Personalmente ritengo che questo
fattore sia un'elaborazione dell'istinto di sopravvivenza. E l'elaborazione
consiste nel rapporto tra la proiezione in avanti dell’aspettativa di vita e
delle proprie ambizioni con le reali probabilità di sopravvivere. Se il
rapporto è ipoteticamente uguale a 1 allora siamo tranquilli, possiamo
sfruttare il tempo che crediamo di avere. Se il rapporto è > 1 siamo
euforici perché ci si prospetta una vita più lunga di quello che ci aspettiamo
(ma dipende dal punto di vista). Ma se il rapporto è < 1 allora proviamo
sofferenza perché sappiamo che non avremo abbastanza tempo per fare tutto
quello che vorremmo.
Ciò
che ci spaventa è la consapevolezza di questo confronto e ciò fa della condanna
a morte di un uomo una delle peggiori azioni che si possano commettere.
Ma
tutto questo presuppone la capacità di proiettare la vita in avanti e
immaginarsi morti.
Ma
ciò vale per gli animali?
Ci
sono due cose importantissime che dobbiamo chiederci per rispondere a questa
domanda:
-
che genere di sensazioni sono in grado di percepire gli animali? E quali
animali?
-
Gli animali (e se si quali?) sono in grado di avere coscienza della propria
vita ? riescono a proiettare nel futuro la prospettiva di vita? Concepiscono la
morte come evento che termina la vita?
Ora
occorre definire i termini delle domande: cosa intendiamo per sensazioni?
Definisco
arbitrariamente sensazioni quelle percezioni come paura, rabbia, affetto,
gioia, noia, gelosia, eccitazione, esaltazione. Tali sensazioni richiedono un
cervello mediamente sviluppato e molti mammiferi e uccelli possiedono tutte o
parte di tali sensazioni che sono funzionali alla sopravvivenza.
Definisco
autocoscienza della vita in maniera diversa da coscienza e autocoscienza: la
coscienza la definisco come capacità di percepire il mondo come
"altro" da sé, ma senza percepire coscientemente il "sé".-l'auto
coscienza la definisco come capacità di definire se stesso come individuo
"da fuori". -la coscienza di vita la definisco come capacità di
definire la vita dalla non-vita (ma non la morte). -L'autocoscienza della
vita la definisco come capacità di definire la propria vita in corso e
l'eventualità del proprio stato di non-vita ovvero la morte
Le
prime tre definizioni sono attribuibili a processi che avvengono nella
neocorteccia ma non solo. Per comodità prenderò come riferimento una delle più
recenti sintesi moderne di neurobiologia: la "Cambridge Declaration on
Consciousness" (2012) che in sintesi dichiara che molti animali non umani
compresi alcuni uccelli e molluschi (polpi ad esempio) possiedono il substrato
anatomico, chimico e fisiologico per permettere l'esistenza delle suddette.
Ma
la terza definizione, la più importante, non è mai stata dimostrata, a quanto
ne so, e le osservazioni che si possono fare mi portano a pensare che solo
l'uomo possegga questa capacità. E la possiede perché la propria intelligenza
gli ha permesso di costruirsi un ambiente meno ostile in cui vivere di quanto
lo sia la natura dove l'aspettativa di vita è sempre incerta. Un animale
(specialmente una preda) che possedesse tale capacita di proiezione
impazzirebbe all'idea di vivere in un ambiente in cui dietro ogni albero si può
nascondere la propria morte. Inoltre un'altra osservazione che mi induce a
pensare all'incapacità dell'animale di percepire l'autocoscienza di vita è
l'assenza di suicidio "ritualizzato" nel mondo animale. Ci sono
eventi di suicidio tra animali ma sono sempre riconducibili o a errori, o a
eventi di depressione che portano a inedia, contingenze riproduttive (salmoni)
o a stati comunque alterati. Manca il suicidio rituale, quello in cui l'essere
vivente, per motivi non prettamente biologici, ricerca con metodo freddo e
pienamente cosciente una maniera per terminare la propria vita (un esempio
molto semplice è il seppuku giapponese).
Che
cosa comportano questi fatti?
per
quanto mi riguarda questo comporta una conseguenza importante: in un’ottica
morale umana di cui siamo inevitabilmente produttori l'animale predilige la
qualità della vita alla sua durata, poiché la coscienza di quest’ultima gli è
preclusa. Dobbiamo considerare che per l'uomo vige la stessa regola a patto che
si sia compiuto "il proprio destino" ovvero che si senta di aver
vissuto una vita piena. Questo spiega la calma con cui molte persone affrontano
la morte. Ma l'animale non sembra, ad ora, possedere tale necessità, se non
quella biologica della riproduzione (ma in maniera istintiva e non cosciente.)
Per
l'animale quindi il problema non si porrebbe. Per lui la spinta è quella di
sopravvivere alla contingenza, cercare uno stato di benessere fisico ed emotivo
(più o meno complesso a seconda della specie) e riprodursi.
Affermare
che la durata della vita non ha importanza per l'animale che implicitamente
possiede l'istinto di sopravvivenza può sembrare una contraddizione logica, ma
la prima è qualcosa che viene percepita coscientemente, il secondo è inconscio.
Noi possiamo sperimentare questa dicotomia quando percepiamo un pericolo e ci
muoviamo in maniera istintiva per sfuggirgli (scappare, lottare, urlare etc..)
mentre per promuovere la durata della vita facciamo progetti a lungo termine,
andiamo dal medico, mangiamo sano (LOL), etc.. cosa che l'animale non fa.
In quest’ottica
quindi, per quanto mi riguarda riveste molta più importanza la qualità del
trattamento che l'animale subisce in un processo di allevamento (compresa la
tecnica di uccisione), piuttosto che il fatto stesso che l'animale venga
ucciso.
Ella ha compiuto il suo destino
Quindi
mangiare un animale che abbia vissuto una vita (non importa la sua lunghezza)
serena per quanto mi riguarda non comporta un’azione ingiusta.
Per
questa ragione, ritengo personalmente che la scelta e la propaganda vegetariana
o vegana perda senso, a meno che non sia dettata da una personale opinione
puramente etica o gastronomica alla quale però non può seguire appunto una
propaganda, poiché soggettiva. Perde senso perché si trasforma in una
non-scelta per la quale invece di incentivare le buone pratiche di allevamento
ci si elimina dalla statistica premiando di fatto gli allevatori meno virtuosi
che possono contare su una maggioranza umana intellettualmente pigra o con un
portafogli piccolo.
Rimane
ferma d'altra parte la necessità di limitare l'uso di carne per motivi di
salute e sostenibilità. Ma penso che l'arma da usare non possa essere quella
della colpevolizzazione, ma piuttosto nell'incoraggiare le scelte migliori
evidenziando i vantaggi che queste offrono. L'uomo non si muove mai per senso
di colpa, si muove sempre per opportunità.
d'altra
parte per naturale sensibilità umana ritengo che l'uccisione dell'animale sia
un evento da limitare a casi di alimentazione o miglioramento della vita umana
e animale (ricerca scientifica, abbattimenti selettivi..), fin tanto che non
saranno trovate metodologie perfettamente sostituibili.
Miskatonic Alumn
Nessun commento:
Posta un commento